Giù il cappello: ecco Andrea Delitio e gli affreschi del Duomo di Atri


Il capolavoro del Quattrocento abruzzese di un "pittore raro" e fantasioso


di Valentina Coccia
Categoria: Incolta
29/12/2017 alle ore 09:36



A rendere la città di Atri un vero e proprio scrigno di arte e cultura è un insieme ricco ed unico di monumenti, architetture religiose, musei e palazzi signorili che narra una secolare storia e la caratterizza quale vero e proprio gioiello dell'entroterra teramano, adagiato su quella dorsale vista mare tra il Vomano ed il Piomba, profilata dai meravigliosi, caratteristici calanchi.

Uno dei personaggi più illustri legati a questa cittadina è il celebre pittore Andrea Delitio (doc. dal 1442 al 1473), “un pittore raro che quasi non si vede da nessun'altra parte”, come lo definì Cesare Brandi, che proprio qui realizzò il suo capolavoro: il ciclo di affreschi nel coro dei canonici del Duomo.

La sua figura è stata riscoperta e rivalutata dalla critica di settore dopo anni di confinamento tra i cosiddetti “pittori di periferia”, etichetta tristemente comune a molti abruzzesi, troppo spesso relegati al ruolo di meri artisti locali, senza influenza sulle grandi dinamiche nazionali. Grazie ad una attenta attività di ricerca e di studio comparato delle opere conservate tra Abruzzo, Umbria e Marche e di quelle confluite all’estero, è emerso tutto lo spessore della personalità artistica di Delitio, ad oggi giustamente collocato tra i più importanti nomi dell'arte italiana come uno dei massimi esponenti della pittura quattrocentesca centro-meridionale, accanto a quegli artisti che egli stesso ebbe modo di conoscere e frequentare durante la sua lunga carriera.

Nato nel 1420 circa, apprese in primi rudimenti nel campo dell'arte dal massimo pittore tardogotico abruzzese, il Maestro del Trittico di Beffi. Appena adolescente si spostò a Firenze per compiere il suo apprendistato: nella splendida cittadina toscana, nel pieno del primo Rinascimento, Andrea ebbe modo di entrare in contatto con la scuola di Masolino di Panicale, conoscendo e sperimentando il linguaggio artistico dei principali pittori della cerchia, compreso il Masaccio.

Vi fece nuovamente ritorno nel 1450, quando ormai artisticamente maturo ebbe modo di collaborare con artisti del calibro di Piero della Francesca, Beato Angelico, Domenico Veneziano.

Nel corso della sua vita viaggiò attraverso tutta l'Italia, sostando nei principali centri culturali del tempo: dalla Corte di Ferrara a quella di Mantova, da Venezia – dove conobbe Jacobo Bellini – a Norcia, quando già noto quale vero e proprio Magister, ricevette l'incarico della decorazione della chiesa di Sant'Agostino.

E' ad Atri, tuttavia, che egli decise di fermarsi ed aprire una propria bottega; vi giunse nel 1445, chiamato dai mecenati duchi di Acquaviva in un clima di grande fermento artistico cittadino, frutto della ricca presenza di ordini religiosi, laici e di numerose famiglie nobili e mercantili.

Il capolavoro di Andrea Delitio, una delle più alte espressioni artistiche rinascimentali dell'Italia centrale e meridionale, mirabile sunto di scuola fiorentina e stile tardogotico, è datato 1460 e si estende lungo le pareti del Presbiterio, o coro dei canonici, della basilica di Santa Maria Assunta.

Il mirabile ciclo di affreschi, suddiviso in tre registri, narra la vita di Maria e di Gesù attraverso il singolarissimo linguaggio di questo pittore che, citando nuovamente Brandi, “pensa in gotico e parla in stile Rinascimentale”, rielaborando l’incanto fiabesco del primo in un impianto garbato fatto di sapienza prospettica di stampo umanistico, memore della poetica toscana sperimentata negli anni giovanili e magistralmente espressa da Benozzo Gozzoli, Beato Angelico e Paolo Uccello.

 Il suo realismo narrativo si esplica in svariati riferimenti diretti a tratti peculiari della vita quotidiana abruzzese dell’epoca: è così che, ad esempio, un gruppo di contadini è immortalato danzano il saltarello accanto alla capanna di Betlemme, mentre le donne incedono con i loro cesti sul capo.

Dirompente emerge il sentimento del colore di questo artista, un colore intenso, squillante, un cromatismo frutto dell’esperienza toscana e messo al servizio, tuttavia, della sua poetica decisamente più espressionista, personalissima, così come quella resa dello spazio, prospettica sì, ma così audace da sfociare nel virtuosismo: si veda, su tutti, quel rapido susseguirsi di archi nel brano raffigurante “La strage degli innocenti”, o le piastrelle che nell’intero ciclo anziché dolcemente tendere al punto di fuga sembrano vorticosamente rincorrerlo. I personaggi raffigurati vestono abiti la cui moda non oltrepassa la metà del Quattrocento, ma hanno i volti martoriati e ferrigni tipici dello stile della scuola ferrarese coeva: tutte le reminescenze artistiche coesistono e si fondono in questo ciclo, ogni elemento che egli abbia sfiorato nella sua esistenza è ivi rielaborato da questo artista fantasioso e bizzarro, che ha scelto di lasciare ai posteri, oltre al suo indiscusso genio, ai capolavori, ad uno stile difficilmente replicabile, anche un suo probabile autoritratto, che campeggia nella volta dell’edificio in quella preziosa e precisa raffigurazione di un pittore intento a dipingere una Vergine con Bambino.

 

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