Libia, la bomba dell'Isis ricorda agli ottimisti d'occidente dove stanno (ancora) sbagliando


Le debolezze di Serraj sono le stesse dell'Ue e dell'Italia: il raccordo con Mosca diventa il possibile jolly



Chi ha festeggiato troppo presto per una apparente normalizzazione della crisi libica dovrà rivedere i propri giudizi. La bomba all'oleodotto in Cirenaica è un altro segnale di come sarà decisamente complesso giungere ad una normalizzazione istituzionale a quelle latitudini, se prima non si comporrà un reale quadro unitario e d'insieme.

Due i ragionamenti da abbozzare in questo momento. Il primo di merito. Dopo l'esplosione ecco che la produzione ha subìto un crollo, fino a 70mila barili dai 260 mila di un attimo prima, con le quotazioni su dell'1,49%, fino a 59,34 dollari al barile.

Uno tsunami, in un fazzoletto di terra (e di mare) già zavorrato da mille piaghe purulente. Si tratta di un oleodotto che conduce il greggio al terminale di Sidra, che è gestito da una joint venture a cui partecipa anche la compagnia nazionale Noc. Insomma, uno snodo fondamentale per la Libia e per il Mediterraneo.

Non va sottaciuto che si trova in Cirenaica, la regione sotto il controllo politico-militare del generale Khalifa Haftar, e nello stesso raggio di azione di un altro terminale strategico: quello di Ras Lanuf che assieme a quello esploso compongono le due bocche di greggio libico. Nevralgiche, per mille e più motivi.

Il secondo di medoto. Non è certamente stato sufficiente stanare l'Isis in quella parte del Paese come ha fatto Haftar, per risolvere in tempi brevi il caos libico, dal momento che occorre (oggi come ieri) che sia la parte occidentale (della Libia e del mondo) a fermarsi un attimo e fare un esame di coscienza. Nessuno in questo frangente può alzare la mano e dirsi completamente a posto.

Parigi continua a fare i propri affari: da anni ormai le forze speciali presidiano il versante subsahariano per oggettivi interessi nazionali. Idem gli inglesi. Nessuno in pratica apre il canale con Mosca, che assieme al Cairo rappresenta un oggettivo player in quella macroregione.

E Bruxelles? Lo sforzo è stato quello di sostenere Serraj, l'uomo dell'Onu che non sta sortendo effetti diversi da quelli dei suoi predecessori. L'Onu in Libia ha fatto già flop, due volte: con Bernardino Leon, che poi è andato a lavorare per un grosso gruppo orientale sollevando mille dubbi sulla legittimità del suo operato a Tripoli e Martin Kobler, nome imposto dalla Merkel che ha fallito.

Nessuno si è preso le proprie responsabilità dei mancati risultati, compresa lady Pesc, l'italiana Federica Mogherini che avrebbe avuto non pochi motivi per fare di più: come ad esempio il fatto che le aziende italiane che operavano in Libia hanno crediti certificati per miliardi di euro; o come la possibilità che si era ventilata di un volo diretto da Roma e Milano per Tripoli, dove l'Italia sta lavorando all'ammodernamento dell'aeroporto; o come i buoni propositi del vertice di Agrigento sulla Libia, dove il ministro degli esteri Alfano aveva fatto intendere di avere la soluzione a portata di mano (senza poi averla).

Meglio ha fatto solo il ministro dell'interno Minniti, che non a caso viene da una lunga delega ai servizi: quantomeno ha provato a intervenire lì dove c'era l'emergenza maggiore.

Ad oggi, dunque, solo nuovo caos, altre rogne relative al prezzo del greggio e le promesse di chi non ha fatto per bene il proprio dovere. Si può dire oppure è lesa maestà?

 

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