Perché la riservatezza è un obbligo deontologico per il mediatore familiare


Nuovo appuntamento con la rubrica "Ri-mediamo" di Teresa Lesti


di Teresa Lesti
Categoria: RiMediamo
07/12/2017 alle ore 14:38

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La riservatezza è un obbligo deontologico per un mediatore professionale qualificato ed un valore, al tempo stesso, con cura intessuto “nelle sedie” presenti nella stanza di mediazione.

Il percorso di mediazione familiare rappresenta un'importante opportunità per i genitori di ritrovare una comunicazione funzionale alla riorganizzazione della famiglia alla luce dell’evento separativo e il valore aggiunto di tale intervento si sostanzia proprio nella fiducia accordata ai genitori rispetto alle proprie competenze e responsabilità genitoriali da condividere e da mettere in campo per il raggiungimento di tale obiettivo.

Generalmente l’inizio di un percorso di mediazione familiare comporta la sospensione o la rinuncia rispetto a qualunque azione giudiziaria contro l’altro genitore e questo proprio per creare un clima di fiducia e di autentica collaborazione nel quale poter insieme lavorare per un nuovo progetto familiare rispondente alle esigenze dei minori.

Lo spazio di mediazione familiare dove essere “sacro” ed “inviolabile” dove il mediatore familiare, terzo imparziale ed equi, vicino ad entrambi, attraverso una relazione di fiducia ed empatia costruita con le parti, lavora per aiutarli e sostenerli nelle decisioni che loro prenderanno come genitori rispetto al nuovo progetto familiare, con riguardo all’interesse primario della prole.

Il mediatore familiare è tenuto alla riservatezza su quanto appreso nel percorso di mediazione e non può assolutamente fare relazioni o riferire al giudice, al Ctu o agli avvocati delle parti circa il contenuto della mediazione. Egli, tuttalpiù, si limita a relazionare se è andato o meno a buon fine il percorso e consegnare un eventuale accordo raggiunto tra i genitori ai rispettivi avvocati.

La mediazione familiare è fuori dal processo e si svolge in un contesto informale, agiudicante ed assolutamente confidenziale la cui stessa natura ne permette la riuscita e ne sorregge la sua specificità.

La mediazione familiare non è e non deve essere confusa con una c.t.u., così come il mediatore non è un consulente tecnico del giudice e, pertanto, non è tenuto a differenza del c.t.u. a relazionare a quest’ultimo il proprio lavoro.

I due interventi devono restare distinti ed è assolutamente inopportuno, inoltre, qualunque tipo di contatto tra consulente tecnico d’ufficio e mediatore salvo che non sia di mero raccordo sui tempi ma mai sui contenuti.

Del resto, se così non fosse, che differenza ci sarebbe tra Ctu e mediazione familiare e soprattutto come potremmo pensare che in mediazione le parti si sentano libere e manifestino un autentico consenso se l’invio ed il percorso diventano coatti e danno origine ad una valutazione?

A tal proposito le linee guida e il codice deontologico dell’A.I.Me.F. (una delle tre associazioni di mediatori familiari più rappresentative, iscritte al M.I.S.E., confluite tutte nella FIAMEF) spiegano chiaramente che tipo di intervento sia la mediazione familiare e i suoi confini rispetto ad altri interventi professionali.

Questo in linea, tralaltro, con tutte le forme di A.D.R. o di giustizia riparativa su cui tanto oggi si discute. La ratio della riservatezza e dell’autonomia di questi spazi, che non possono e non devono essere strumentalizzati a fini processuali, risiede proprio nella tutela dei diritti inviolabili delle persone e nel caso del minore del suo diritto ad una genitorialità responsabile e condivisa.

I genitori nella stanza di mediazione devono potersi sentire liberi: liberi di esprimersi - chiaramente nel rispetto di uno spazio di lavoro contestualizzato e disciplinato da un contratto professionale tra mediatore e parti; liberi di riconoscersi e di riconoscere all’altro genitore dei significati importanti all’interno di un clima di assoluta accoglienza, empatia e confidenzialità; liberi di condividere informazioni e idee sul nuovo progetto familiare senza paura di giudizi o di strumentalizzazioni future in un aula di tribunale.

Liberi, insomma, di poter fare i genitori insieme, senza intromissioni, deleghe o sostituzioni o valutazioni. Tutto questo è garantito ai genitori attraverso la segretezza di quanto emerso in mediazione.

Il mediatore familiare è tenuto a tale obbligo deontologico e lo viola ogni volta in cui ha contatti collusivi con altri professionisti che stanno in quel momento lavorando con la stessa famiglia in altri contesti, con altri mandati professionali e con diverse competenze.

La riservatezza del setting di mediazione è fondamentale perchè la mediazione sia un intervento di aiuto così come è stato concepito e non venga snaturato in altre attività “ibride” assolutamente disfunzionali per la riuscita del percorso stesso e per il benessere delle coppie coinvolte.

 

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