L'altra faccia (abruzzese) del rancore


La gaffe di D'Alfonso: legge il titolo e non il pezzo sul rapporto del Censis


di Lilli Mandara
Categoria: Maperò
05/12/2017 alle ore 09:57



E giù tutti a commentare, a condividere, a mettere i like. Claudio Cerasa, il direttore de Il Foglio, alza la palla su Facebook con un post ed ecco pronto Luciano D’Alfonso a schiacciare la palla con tutta la sua schiera di proseliti a contratto.

“Il Censis dice che l’Italia riparte, che la produzione industriale vola – scrive Cerasa venerdì scorso, quando il rapporto 2017 è appena uscito – che i consumi corrono ma che nonostante tutto il rancore cresce.Il punto è ovvio: siamo un paese fondato sull’anti-sistema, dove ciò che è percepito purtroppo è diventato più imporatnte di ciò che è realtà”.

Non gli è parso vero, a Dalfy, di leggere quella parolina magica: rancore. Ecco, tutto spiegato: lui è bravo, la Regione dice la Regione fa, l’economia abruzzese vola ma contro di lui solo rancore. Lo dice il Censis, mica lui.
Incorre nello stesso errore di tanti, di tutti quelli che lui stesso critica: legge il titolo e non il pezzo. Dalfy non ha letto il rapporto del Censis (come non lo ha letto Cerasa, ma di questo ce ne faremo una ragione) e soprattutto non conosce le condizioni della Regione che amministra e ne fornisce una rappresentazione falsa e distorta. Il rancore a cui lui si riferisce è quello del web, quello gratuito, frutto della polemica che si genera sulla piazza virtuale, a volte alimentata dalle fake news. Altro, è il rancore di cui parla il Censis. E’ quello generato dalle disuguaglianze e dalla forbice sempre più larga tra poveri e ricchi.

“Nella ripresa persistono trascinamenti inerziali da maneggiare con cura. Non si è distribuito il dividendo sociale della ripresa economica e il blocco della mobilità sociale crea rancore – scrive il Censis – L’87,3% degli italiani appartenenti al ceto popolare pensa che sia difficile salire nella scala sociale, come l’83,5% del ceto medio e anche il 71,4% del ceto benestante. Pensano che al contrario sia facile scivolare in basso nella scala sociale il 71,5% del ceto popolare, il 65,4% del ceto medio, il 62,1% dei più abbienti. La paura del declassamento è il nuovo fantasma sociale. Ed è una componente costitutiva della psicologia dei millennials: l’87,3% di loro pensa che sia molto difficile l’ascesa sociale e il 69,3% che al contrario sia molto facile il capitombolo in basso”

E poi, aggiunge il Censis,

“il rimpicciolimento demografico del Paese, la povertà del capitale umano immigrato, la polarizzazione dell’occupazione che penalizza l’ex ceto medio: l’immaginario collettivo ha perso la forza propulsiva di una volta e non c’è un’agenda sociale condivisa. Ecco perché risentimento e nostalgia condizionano la domanda politica di chi è rimasto indietro”.

Si aggiunga anche che gli italiani in condizione di povertà assoluta sfiorano i 5 milioni, e sono raddoppiati in dieci anni. Altrettanti vivono in una condizione di povertà relativa. Quasi 10 milioni sono gli individui a rischio povertà, 3,3 milioni sono i lavoratori precari.

Eccolo, il rancore. Un rancore generato dalla politica, altro che storie. Lo ha detto anche la sociologa Chiara Saraceno: i cittadini si sentono traditi dalla politica. Quella che cavalca il rancore senza avere un orizzonte e quella che ha tradito l’ascolto e le aspettative della parte sana e propositiva della comunità.

“Anche le cose buone che sono state fatte, sono state fatte senza cura per l’aumento delle disuguaglianze. Il divario tra chi guadagna tanto e chi guadagna poco o niente si è ampliato con scarsissima attenzione: la risposta è stata distribuire qualche bonus qua e là – ha commentato la sociologa al Sole 24 Ore –  Adesso c’è il Rei, il reddito di inclusione, ma non c’è confronto tra l’aver tolto l’Imu e i 480 euro per una famiglia di cinque persone. E poi riconosciuti tardivamente, con fatica. Si pensi alla velocità con cui sono stati approvati gli 80 euro e a quanto ci è voluto per il Rei. C’è una mescolanza di rancori anche di gruppo, che si sommano e possono entrare in conflitto gli uni con gli altri”.

Come se ne uscirà?

“I cittadini sono sfiduciati perché non trovano interlocutori. La politica dovrebbe cominciare a interloquire un po’ di più, ad ascoltare. Invece non lo sta facendo per rincorrere i diversi rancori. È una competizione al ribasso.”.

E in Abruzzo, un cittadino su tre è a rischio di povertà o di esclusione sociale. Si stima che il dato sia pari al 30,1% della popolazione nel 2015, in crescita rispetto all’anno precedente (29,5%). Il reddito medio delle famiglie abruzzesi, nel 2014, era di poco superiore ai 25mila euro all’anno, dato che colloca l’Abruzzo al primo posto tra le regioni del Sud.

Basterebbe guardarsi intorno: sul marciapiede della stazione di Pescara, decine di senza-tetto che dormono sul marciapiede (non tutti stranieri, non tutti clandestini, moltissimi italiani, anzi abruzzesi) e nelle strade del centro, tantissimi che frugano nel cassonetto (no, anche qui non solo e soltanto stranieri), che fanno la fila alle mense della Caritas (quanti italiani e quanto decoro), che non possono comprare da mangiare, che non hanno lavoro, che non sanno che futuro dare ai propri figli e nipoti. L’Abruzzo, quello vero, è questo qua.

ps:Fare finta di ignorare questo dato, e sostenere che l’Abruzzo vola e la gente non se ne accorge perché cova rancore, è da irresponsabili.

 

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