Le ferite dal sisma e la forza della vita


Viaggio all'interno della Collegiata di Santa Maria in Platea a Campli


di Valentina Coccia
Categoria: Incolta
24/11/2017 alle ore 14:54

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Vi sono sere in cui il passato sembra ormai consegnato al ricordo, sere di calici al cielo, di musica e sorrisi decisi impressi su volti in cui la tristezza sembra non avervi mai avuto dimora. Lungo le ripide vie del centro storico della splendida cittadina di Campli, in una calda sera d'estate si può avere la sensazione che la terra non abbia mai tremato. Intatti i visi festanti, non più solcati da paura, e lacrime, solidi gli edifici con le loro possenti mura.

Nella piazza principale del borgo, la Madonna con Bambino in pietra posta sul portale della chiesa di Santa Maria In Platea, attribuita allo scultore Gianfrancesco Gagliardelli, osserva il tripudio di suoni e colori e teneramente invita il visitatore all'ingresso nello splendido edificio, che da cattedrale venne eretto a collegiata nel 1395. La vista è subito catturata dal pregevole, maestoso soffitto ligneo della navata centrale, dipinto nel primi decenni del XVIII secolo da Teodoro Donato di Chieti, per poi lentamente spostarsi verso le navate laterali, aggiunte nel corso delle trasformazioni attuale tra il XV e il XVI secolo.

Come uno scrigno, la chiesa è stata per secoli gelosa custode di meraviglie artistiche ed architettoniche, oggi in parte musealizzate. La preziosa edicola del SS. Sacramento, realizzata da Sebastiano da Como nel 1532, che con il candore della sua pietra bianca lavorata irrora di pura bellezza la navata sinistra, custodiva al suo interno una sublime Madonna lignea, datata 1495.

Di notevole interesse inoltre i dipinti commissionati per questo edificio, dalle due magnifiche pale di Cola dell'Amatrice che adornavano questa stessa edicola, alla Madonna con Bambino e Santi firmata e datata dal pittore ravennate Giovan Battista Ragazzino (1577) conservata nella Cappella di S. Andrea Apostolo, dalla Visitazione, copia da Raffaello, alla quattrocentesca tavola raffigurante la Madonna del Latte, probabile parte di un polittico smembrato, opera di Giacomo da Campli.

Dietro l’altare maggiore sono visibili la Cattedra vescovile ed il coro dei canonici, a testimonianza della concessione del Vescovato nel 1600, mentre in corrispondenza del portale d’ingresso risplende il grandioso organo ligneo del XVIII secolo. La cripta, nucleo originario dell'edificio, risale all'anno Mille e offre un ciclo di affreschi di scuola giottesca, databili alla metà del '300, che in origine doveva estendersi lungo tutte le pareti.

All'esterno, armonico è il dialogo tra i due stili che ne caratterizzano il profilo: il neoclassico ed il romanico. L'elegante facciata è infatti frutto di una ricostruzione avvenuta nel 1793, quando a seguito di un crollo il Maestro Giovanni Fontana da Penne ne rielaborò i tratti, che secondo gli storici erano inizialmente affini a quelli del Duomo di Teramo.

Assonanza che tuttavia è ancora riscontrabile nella cuspide ottagonale del campanile, opera del lombardo Antonello da Lodi, che unì in un unico filo stilistico i campanili di Atri e Teramo, da lui stesso realizzati e definiti, per l'appunto, “gemelli”. La piramide finale è opera dell'ing. Norberto Rozzi, ricostruita sul finire del 1800.

Vi sono sere in cui il passato sembra ormai consegnato al ricordo... ma il ricordo riaffiora quando meno lo si attende. Oltrepassata la soglia di Santa Maria in Platea, quella calda sera d'estate, il mio sorriso fu drasticamente spezzato dalle fredde lamiere dei ponteggi a sostegno di questo complesso ferito, messo in sicurezza grazie al prezioso, congiunto impegno di Parrocchia e Soprintendenza.

Un edificio che come un essere umano celava all'interno, nel profondo della sua anima, quell'immensa cicatrice, non ancora riassorbita. Lì, dinanzi a me, trovai d'improvviso la grande metafora di ciò che è stato e non può essere rimosso nella vana illusione del tenue scemare dello strazio in un dolce oblio.

Sulle sue pareti scorrono vivide le tracce del sisma, a mo' di divino promemoria dell'umana condizione, della caducità estrema della vita ma al contempo della sua dirompente forza, quella che consente a questa cattedrale di portare avanti la sua storia, proprio come gli abitanti di questi territori.

Con l'auspicio che l'intero nostro patrimonio culturale, così profondamente segnato, possa tornare a splendere in tutta la sua magnificenza, come l'acceso sorriso di chi non smette di credere nel futuro e nella rinascita.

 

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