Regioni sempre più (solo) trampolino di lancio per Roma: l'autonomia come l'intende Renzi


Mentre Boschi e Lotti guerreggiano per i fedelissimi, il segretario appronta lo spazio per i vari De Luca, D'Alfonso, Emiliano



Matteo Renzi rimugina e freme. Ma, soprattutto, teme il disastro. Non c'è Rosatellum che tenga. È un periodaccio. Non gliene va bene una. E il governo non l'aiuta. Con la guerra a Visco (che Gentiloni e Mattarella riconfermano), cerca di allontanare da sé qualsiasi responsabilità per i magheggi delle banche ai danni dei risparmiatori, ma ecco che gli arriva tra i piedi l'aumento a 67 anni dell'età pensionabile e pure il ridicolo obbligo per le famiglie di accompagnare a scuola e riprendersi i ragazzi delle medie. Un trend pericoloso.

Il suo treno sta correndo verso la sconfitta. Certificata anche dagli ultimi sondaggi che gli sono stati recapitati in carrozza: le politiche rischiano di essere l'ultima stazione. Il prologo si vedrà in Sicilia il prossimo 5 novembre.

Il suo candidato Fabrizio Micari annaspa, buon terzo, con grave distacco da Nello Musumeci e Giancarlo Cancelleri che se la giocheranno fino all'ultimo. Ma pare debba guardarsi pure da Claudio Fava, che da sinistra rimonta posizioni e che, adesso, avrà anche l'appoggio di Piero Grasso, l'ultimo in ordine di tempo a lasciare il Pd. Roba che se il rettore palermitano arrivasse quarto su quattro, tutti i maggiorenti renziani dell'Isola dovrebbero solo correre a nascondersi. Renzi lo sa. E infatti non ci andrà in treno in Sicilia, una regione dove il binario unico, ancora esistente, potrebbe incanalare la sua vettura sul binario morto. Ma è, comunque, al dopo di questa terribile tappa che Renzi pensa. Che freme e teme.

È comunque il segretario del Pd. Elemento che, nella sua mente di capo-scout, ha il suo valore. E che lo spinge a provarci. È vero che ha fatto terra bruciata alla sua sinistra regalandosi il disprezzo di D'Alema, ma la speranza di svangarla e di partecipare almeno ad un governo di larghe intese è ormai l'unica carta che sa di poter giocare. E che tiene neppure troppo coperta. Perciò tutte le sue attenzioni vanno alle liste da compilare e da presentare. Un vero risiko, insieme ai nomi da inserire nei collegi maggioritari. I più rischiosi per il Pd.

Al Nord la partita é disperata, stretto com'è tra centrodestra e grillini. Rimane il Sud. Ecco, perciò, che la genialata provata con Rosario Crocetta (un seggio da senatore per l'appoggio a Micari) sarà replicata su vasta scala. Con gli attuali presidenti di regione targati Pd. Un posto alla Camera o al Senato per ognuno di loro e pluricandidature a go-go per i loro vassalli. Tutto e di più pur di acchiappare ogni possibile clientela campana, abruzzese, pugliese e via dicendo: un'apoteosi, pensateci, per chi alla Leopolda si intestò la rottamazione contro gli sprechi dello Stato e delle Regioni.

Detto fatto. Mentre Boschi e Lotti guerreggiano per la scelta dei fedelissimi da candidare e i gruppi parlamentari fremono di paure da ricandidatura, il segretario del Pd appronta lo spazio da destinare ai vari Vincenzo De Luca, Luciano D'Alfonso, Michele Emiliano. Tutti senatori, deputati e, perché no?, ministri o, almeno sottosegretari del governo che sarà. È la sua promessa. Ed è l'autonomia regionale, come l'intende lui, Matteo Renzi. Che rimugina e freme. Ma, soprattutto, teme il disastro.

 

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