Il primo giorno di scuola


Easy writer/Il racconto/Marco La Greca


di Lilli Mandara
Categoria: Maperò
16/09/2017 alle ore 08:49



In questa settimana in cui sono ricominciate le scuole, mi è venuto da pensare al mio “primo giorno”.
Il momento è immortalato in una foto scattata sul terrazzo dei miei genitori. Era una giornata di sole. Un primo ottobre, perché ho fatto in tempo, per un paio d’anni, ad assaporare il rientro a scuola in quel fatidico giorno, prima che l’afflato europeista (“Ce lo chiede l’Europa”, anche allora) lo anticipasse alla prima metà di settembre, come, in buona sostanza, è pure adesso. Biondo e ancora ben pettinato, indossavo un grembiule blu. A tracolla avevo una cartella maculata, verde militare, e sorridevo. 
Non ho bisogno della foto, lo ricordo da me. Sorridevo perché ero contento: avrei imparato a leggere e finalmente, leggendo “Topolino”, il mio giornaletto preferito, avrei potuto ascoltare la voce di Paperino e degli altri personaggi di Walt Disney. Un segreto che mio fratello, di due anni più grandi, non mi aveva mai voluto svelare. “Ma che dici? Quando leggi mica ascolti le voci”, mi rimbrottò quando glielo chiesi. A me sembrava una balla che mio fratello mi raccontava per tenermi alla larga da una cosa grandi. Leggere, appunto. E ascoltare la voce di Paperino.
Ho provato a chiedere ai miei figli che ricordi hanno del loro primo giorno di scuola. Per prima cosa mi hanno chiesto: “Quale giorno di scuola?”. Già, per me era scontato. Per loro no: hanno avuto un primo giorno al nido, poi alla materna, poi alle elementari. Mia figlia, dodicenne, ha avuto anche il primo giorno di medie.
Ricordano che erano emozionati e un po’ timorosi. Non sapevano chi avrebbero avuto in classe. Ricordano che non sapevano bene cosa aspettarsi. Poi poco altro.
Ho chiesto espressamente come vivevano il fatto che avrebbero cominciato a leggere. Mia figlia mi ha detto che si immaginava sul divano, a leggere i libri a sua madre, mia moglie. Mio figlio che, immaginandosi a fare i compiti, a leggere, pensava che sarebbe stato fico. Non che sarebbe stato fico fare i compiti. Sarebbe stato fico lui.
Ho letto da qualche parte che i bambini dimenticano oggi per ricordare domani. Forse è per questo che ricordano così poco, nonostante siano passati pochi anni. Probabilmente ricorderanno poi.
Forse è per questo che, qualche anno fa, più o meno al giro dei 40, ho avvertito che riaffioravano molti ricordi rimasti sotto traccia.
Ho anche letto, e so per esperienza diretta, che, dopo un po’, si comincia a dimenticare. Arriverà di nuovo un momento in cui penserò, leggendo, di ascoltare la voce di Paperino. Quando sarà, vorrei sorridere come allora. Vorrei che la scuola cominciasse ancora il primo ottobre. Vorrei farmi trovare un po’ più spettinato.

In questa settimana in cui sono ricominciate le scuole, mi è venuto da pensare al mio “primo giorno”.
Il momento è immortalato in una foto scattata sul terrazzo dei miei genitori. Era una giornata di sole. Un primo ottobre, perché ho fatto in tempo, per un paio d’anni, ad assaporare il rientro a scuola in quel fatidico giorno, prima che l’afflato europeista (“Ce lo chiede l’Europa”, anche allora) lo anticipasse alla prima metà di settembre, come, in buona sostanza, è pure adesso. Biondo e ancora ben pettinato, indossavo un grembiule blu. A tracolla avevo una cartella maculata, verde militare, e sorridevo. 
Non ho bisogno della foto, lo ricordo da me. Sorridevo perché ero contento: avrei imparato a leggere e finalmente, leggendo “Topolino”, il mio giornaletto preferito, avrei potuto ascoltare la voce di Paperino e degli altri personaggi di Walt Disney. Un segreto che mio fratello, di due anni più grandi, non mi aveva mai voluto svelare. “Ma che dici? Quando leggi mica ascolti le voci”, mi rimbrottò quando glielo chiesi. A me sembrava una balla che mio fratello mi raccontava per tenermi alla larga da una cosa grandi. Leggere, appunto. E ascoltare la voce di Paperino.
Ho provato a chiedere ai miei figli che ricordi hanno del loro primo giorno di scuola. Per prima cosa mi hanno chiesto: “Quale giorno di scuola?”. Già, per me era scontato. Per loro no: hanno avuto un primo giorno al nido, poi alla materna, poi alle elementari. Mia figlia, dodicenne, ha avuto anche il primo giorno di medie.
Ricordano che erano emozionati e un po’ timorosi. Non sapevano chi avrebbero avuto in classe. Ricordano che non sapevano bene cosa aspettarsi. Poi poco altro.
Ho chiesto espressamente come vivevano il fatto che avrebbero cominciato a leggere. Mia figlia mi ha detto che si immaginava sul divano, a leggere i libri a sua madre, mia moglie. Mio figlio che, immaginandosi a fare i compiti, a leggere, pensava che sarebbe stato fico. Non che sarebbe stato fico fare i compiti. Sarebbe stato fico lui.
Ho letto da qualche parte che i bambini dimenticano oggi per ricordare domani. Forse è per questo che ricordano così poco, nonostante siano passati pochi anni. Probabilmente ricorderanno poi.
Forse è per questo che, qualche anno fa, più o meno al giro dei 40, ho avvertito che riaffioravano molti ricordi rimasti sotto traccia.
Ho anche letto, e so per esperienza diretta, che, dopo un po’, si comincia a dimenticare. Arriverà di nuovo un momento in cui penserò, leggendo, di ascoltare la voce di Paperino. Quando sarà, vorrei sorridere come allora. Vorrei che la scuola cominciasse ancora il primo ottobre. Vorrei farmi trovare un po’ più spettinato.

In questa settimana in cui sono ricominciate le scuole, mi è venuto da pensare al mio “primo giorno”.
Il momento è immortalato in una foto scattata sul terrazzo dei miei genitori. Era una giornata di sole. Un primo ottobre, perché ho fatto in tempo, per un paio d’anni, ad assaporare il rientro a scuola in quel fatidico giorno, prima che l’afflato europeista (“Ce lo chiede l’Europa”, anche allora) lo anticipasse alla prima metà di settembre, come, in buona sostanza, è pure adesso. Biondo e ancora ben pettinato, indossavo un grembiule blu. A tracolla avevo una cartella maculata, verde militare, e sorridevo. 
Non ho bisogno della foto, lo ricordo da me. Sorridevo perché ero contento: avrei imparato a leggere e finalmente, leggendo “Topolino”, il mio giornaletto preferito, avrei potuto ascoltare la voce di Paperino e degli altri personaggi di Walt Disney. Un segreto che mio fratello, di due anni più grandi, non mi aveva mai voluto svelare. “Ma che dici? Quando leggi mica ascolti le voci”, mi rimbrottò quando glielo chiesi. A me sembrava una balla che mio fratello mi raccontava per tenermi alla larga da una cosa grandi. Leggere, appunto. E ascoltare la voce di Paperino.
Ho provato a chiedere ai miei figli che ricordi hanno del loro primo giorno di scuola. Per prima cosa mi hanno chiesto: “Quale giorno di scuola?”. Già, per me era scontato. Per loro no: hanno avuto un primo giorno al nido, poi alla materna, poi alle elementari. Mia figlia, dodicenne, ha avuto anche il primo giorno di medie.
Ricordano che erano emozionati e un po’ timorosi. Non sapevano chi avrebbero avuto in classe. Ricordano che non sapevano bene cosa aspettarsi. Poi poco altro.
Ho chiesto espressamente come vivevano il fatto che avrebbero cominciato a leggere. Mia figlia mi ha detto che si immaginava sul divano, a leggere i libri a sua madre, mia moglie. Mio figlio che, immaginandosi a fare i compiti, a leggere, pensava che sarebbe stato fico. Non che sarebbe stato fico fare i compiti. Sarebbe stato fico lui.
Ho letto da qualche parte che i bambini dimenticano oggi per ricordare domani. Forse è per questo che ricordano così poco, nonostante siano passati pochi anni. Probabilmente ricorderanno poi.
Forse è per questo che, qualche anno fa, più o meno al giro dei 40, ho avvertito che riaffioravano molti ricordi rimasti sotto traccia.
Ho anche letto, e so per esperienza diretta, che, dopo un po’, si comincia a dimenticare. Arriverà di nuovo un momento in cui penserò, leggendo, di ascoltare la voce di Paperino. Quando sarà, vorrei sorridere come allora. Vorrei che la scuola cominciasse ancora il primo ottobre. Vorrei farmi trovare un po’ più spettinato.